Elena Ferrante e la sua “amica geniale”: i motivi per cui vale la pena leggere la storia
Per la rubrica “leggere che passione con JK”, ecco uno dei testi che a mio avviso potrebbe farvi compagnia in questo periodo particolare, in cui la lettura potrebbe rivelarsi la nostra più utile alleata. Questa volta, il titolo che vi consiglio è quello di una saga che mi ha tenuta letteralmente incollata fino alla fine e che mi ha mostrato un lato della mia città, Napoli, che più che rivelarmi un aspetto di un luogo fisico, mi ha svelato l’esistenza di qualcosa di più profondo che lega le persone al posto in cui sono nate
Chi si perde negli scenari raccontati nei libri, non conosce la tristezza, perché anche quando la realtà in cui viviamo ci sembra opprimente e poco gratificante, abbiamo sempre l’occasione di tuffarci in una nuova storia, di innamorarci di altri luoghi e di personaggi che spesso hanno l’abilità di ritagliarsi un posticino nel nostro cuore. Questo è il potere dei libri ed è per questo che ogni volta che ne ho l’opportunità, mi impegno nel consigliarvi tutti quei testi che a me hanno fatto bene. Questa volta tocca ad una quadrilogia già molto conosciuta e che in tantissimi avrete già letto; parlo della “saga” “L’amica geniale” scritto dalla meravigliosa Elena Ferrante. “L’amica geniale” rappresenta, a mio avviso, una finestra su un’epoca, o meglio, sul mondo di un’epoca, su una società in evoluzione o in involuzione in alcuni casi, di una Napoli che se a molti ha dato, a tanti altri ha tolto. Quello che mi ha colpita profondamente dei suddetti romanzi, risiede nella conferma dell’esistenza di un sentimento che svolge un’azione attrattiva su tutti i napoletani e che gli impedisce di ricostruirsi del tutto una vita altrove.
Un napoletano che è costretto o che per sua scelta decide di rifarsi una vita lontano da Napoli, vivrà sempre con la consapevolezza di essere legato ad essa da un filo invisibile che in qualsiasi momento, potrà strattonarlo per riportarlo nel luogo in cui è nato. Non si tratta proprio di nostalgia ma della consapevolezza che per quanto ci si possa trovare bene in qualche luogo del mondo, nessun posto è come casa e questo non perché le nuove realtà che una persona può vivere siano peggiori della vita che faceva a Napoli, anzi, in molti casi si tratta di apportare migliorie al proprio stato di vita, è proprio un attaccamento al “natío borgo selvaggio” che se in alcuni casi è sembrato angusto, opprimente e privo di opportunità, eserciterà per sempre un potere attrattivo su chi lo ha lasciato, che prima o poi ritornerà da dove era partito. Tutto questo per dirvi che da napoletana mi sono sentita descritta a pieno nei romanzi di Elena Ferrante, pur vivendo in un’epoca completamente differente da quella narrata, ma posso assicurarvi che la sensazione che ho provato io, la proveranno tutti coloro che dall’ovile sono andati via e che per qualche motivo, pur trovandosi bene nei luoghi in cui ora vivono, considereranno casa solo ed esclusivamente il posto in cui sono nati e cresciuti.
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